martedì 1 maggio 2007

Progetti


Ho appena finito di vedere "La finestra di fronte" per la quattrocentesima volta, e ogni volta da brava romanticona lacrimosa quale sono trovo un ottimo motivo per averlo rivisto.
Stavolta l'ottimo motivo è la frase con cui Davide ammonisce Giovanna: "Hai lasciato che la tua passione diventasse un hobby!". In genere queste frasi continuano a rimbalzare nella testa per qualche ora, cercando ricordi ai quali ancorarsi per renderti consapevole del fatto che si, anche tu puoi trovare una buona ragione per deprimerti! Ma stavolta non è stato così, a salvarmi è stata una persona che, avendo il mio stesso stato d'animo, è riuscita a battere il mio perverso meccanismo di assimilazione film sul tempo: la Chiara, infatti, aveva già col dovuto anticipo messo per iscritto ciò che avrei pensato dopo, fornendomi un bel "salta cinque caselle" per evitare quella manciata d'ore di paranoia e passare subito alla fase attiva (che dire, grazie!).
E la fase attiva consiste nel pensare che in fondo i miei sogni non mi hanno ancora doppiata, e la realtà è che non sono ancora troppo lontani per rggiungerli. Il punto è, invece, adattarsi a questa situazione, in cui non si capisce bene quale sia lo scopo finale dei propri sforzi: un tempo pensavo fosse diventare la persona migliore del mondo, riuscire a eliminare completamente qualunque difetto dal mio carattere, divenire la perfezione nel mio quotidiano, ottenendo sempre risultati eccellenti e bandendo qualunque cattivo sentimento dalla mia splendida esistenza. Una sorta di Ned Flanders, per intenderci.
Inutile dire che ci ho rinunciato quando mi son trovata a fare incubi assurdi, tipo mia madre che mi strangola urlando che sono una persona cattiva. Quello stronzo del mio super-io.
A quel punto mi sono buttata sulla fama e la gloria, e ho eliminato la componente psicologica dal mio grandioso progetto: la felicità doveva sicuramente consistere nei risultati del proprio sforzo, per cui da quel momento avrei fatto tutto e meglio, perfettamente e abbondantemente. 5 esami in una settimana, media oltre il 30 sul libretto e un bell'esaurimento nervoso. Quindi ho toppato ancora...
L'ultima chance è fare ciò che solo i veri geni fanno: si siedono in cucina a fumare una sigaretta, contemplano un gatto che dorme, si mangiano le unghie (dopo tanti anni un'esperienza veramente catartica) e pensano con profondo disprezzo a ciò che hanno intorno. E in fondo una mezza risposta l'ho trovata: faccio parte di una generazione strana, ancora non esaminata a fondo, ma in una condizione di sbandamento ed egoismo mai vista prima. Cavoli. Non conosco l'impegno, non conosco l'onore, non conosco neanche quei principi morali che i miei genitori adoravano seguire. Vivo in uno stato di completa ignoranza e, dunque, di completa impossibilità d'azione. Però penso tanto, penso troppo. Opinionista? Scrittrice? Professoressa? Forse politicante potrebbe essere il lavoro perfetto per me?
O forse il lavoro perfetto sarebbe semplicemente ridimensionarmi, pensare che ho 25 anni e non 40, e che le mie scelte di ora sono importanti, ma non ultimatum, e una sbronza ogni tanto non mi vieterà d'essere un giorno amata e rispettata da chi mi sta intorno. Il lavoro ideale per me in questo momento è conservare la mia maturità, ma ritrovare almeno un minimo di quella spontaneità che mi rendeva migliore -e più serena-. e a quel punto guardarmi intorno e capire tutto. E, se fate da bravi, rendervene partecipi...Eheh! ;-)

2 commenti:

rigelblue ha detto...

Ehi, ehi, aspetta ... professoressa no!
Oppure sì ma a una condizione: autonominarti paladina della giustizia (ti consiglio di cambiare Stato se davvero prendessi in considerazione questa idea).
Oggi sono stata alla Sapienza per parlare con una professoressa... mi aveva dato l'indirizzo sbagliato, rovinandomi l'intera giornata. Come se non bastasse, una tremenda combinazione astrale mi ha fatto incappare in un vero esemplare di "donna inacidita dalla professione".

Riporto l'incipit del nostro dialogo (meno male che ho studiato comunicazione!):

io: "scusi..."
lei: "NO"
io: "volevo chiederle un'informazione"
lei: "no, sono una professoressa".

Ah, ecco.
Ma io sono cresciuta con l'Attimo fuggente, all'epoca nessuno mi aveva avvertita che sulla strada della mia formazione universitaria avrei trovato questi loschi figuri!

Chi li ha investiti del potere di trattare le persone con sufficienza?
La loro cultura accompagnata da una buona dose di maleducazione e menefreghismo, non vale nulla - per quanto mi riguarda.

E' per questo motivo che quando mi capita di incontrarne uno davvero appassionato alla sua materia, ma soprattutto al dialogo con lo studente (bisognerebbe istituire una visita psicologica obbligatoria prima di abilitare i professori; così si risolverebbe anche il problema di tutti i laureati in psicologia che insieme agli scienziati della comunicazione andrebbero altrimenti a rimpinguare le file nelle stalle dei call-center - Alessandro Rovinetti mi ha davvero rovinato l'esistenza... scusate il gioco di parole) penso che sia una meravigliosa eccezione.

E da questo si evince che sono proprio italiana.
SI, BASTA!
Ci lamentiamo di tutto ma alla fine ci vanno bene tante cose.

E invece no, bisognerebbe avere il coraggio di rendersi conto che nel nostro bellissimo Paese funziona tutto al contrario (ammesso che qualcosa funzioni).

Quindi Ca, se ci pensi bene, il solo fatto di pensare a fare-qualcosa-di-buono - qui ed ora (tanto per rimanere in tema) - ci fa onore.

Gongoliamoci per venti minuti, poi ricominciamo a pensare.
Un bacio, vieni a trovarmi e spero che tra poco anche la mia copertina possa campeggiare nel tuo spazio libri!

Carlita ha detto...

Hehe... Stavolta non meriti una risposta, ma un post intero!